Allora, il punto è questo: mi avevano detto che l’oroscopo di ieri posizionava il mio segno al primo posto nella classifica astrale. Su dodici, il mio era il numero uno! Luna, Venere, Mercurio, tutti dalla mia parte. Pure quel simpatico di Saturno, che di solito mi è “contro”! Quindi mi aspettavo fuochi e fiamme. Se non proprio un aiuto spontaneo a stirare al mio posto la pila di indumenti che mi aspettava a casa – sì, il vivere da soli comporta non pochi arretrati domestici -, anche altre varianti sul tema casalingo potevano andarmi bene e le avrei accettate dal profondo del cuore, manco fossero state diamanti grezzi. Cioè non parlo di ricevere fiori, ma anche solo un’opzione PRANZO-PRONTO-E-TAVOLA-IMBANDITA, l’avrei apprezzata. L’oroscopo era buono, ve l’ho detto.
Invece no. Niente di tutto questo, ça va sans dire! A comprova della mia ormai riconosciuta e conclamata fortuna, l’unico regalo che ho ricevuto ieri è stato un tag su un post. Sì, avete capito bene. Ieri, nella giornata dei cuoricini e delle frecce scagliate dal putto dai riccioli d’oro, l’unico dono ricevuto è stata una foto, pubblicata da una compagna delle elementari che non vedo da circa 20 o forse 25 anni. Il post in questione mi è apparso sul social blu, tra un articolo del giornale dimostrante quanto “l’essere single produce benefici nella ricerca di se stessi” e le immagini della mia collega dell’università, felicemente sposata e seduta sul porticato della sua nuova casa con i tre figli e il cane, un Golden Retriver, ovviamente.
Il post, dicevamo. Si trattava di una foto di classe. Era il lontano 1994. Avevo 9 anni e non si poteva non riconoscermi subito. Io, un capello stranamente gonfio – se considero nello specchio gli spaghetti che mi fungono da folta capigliatura oggi -, il completo a fiori con il fuseaux sempre rigorosamente provvisto di quella molla sotto la pianta del piede, infilato in una scarpetta in vernice. Già, perché adesso fa figo chiamarlo “Leggings”, ma ragazzi, quello altro non è che l’antesignano del nostro fusò, detto anche “fuson” dagli stessi che chiamano “gatto” il gateaux di patate. Ero giovane e ingenua.
Ora, io vorrei chiedere alla mia compagna di classe del Belgio che non vedo forse dai tempi in cui è stata scattata quella foto: perché, di grazia, tirare fuori i reperti archeologici degli anni ’80 e ’90 che – per quanto ad una prima occhiata facciano emergere nostalgici sentimenti infantili dal sapore di “Nouvelle Cuisine”, portafogli con lo strappo e Crystal Ball – hanno dubbio effetto sulla mia attuale autostima?!?! Eh?! No, dico così, giusto per capire se si tratta di voler infierire sulla mia situazione oppure se è capitato per caso. A quel punto quale miglior giornata per rimettere in questione la mia vita? E come non farlo con un testo come quello di Roland Barthes e il suo “Frammenti di un discorso amoroso”?!
Voler scrivere l’amore, significa affrontare il guazzabuglio del linguaggio: quella zona confusionale in cui il linguaggio è insieme troppo e troppo poco, eccessivo (per l’illimitata espansione dell’io, per la sommersione emotiva) e povero (per i codici entro i quali viene costretto e appiattito dall’amore).
Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso
Quindi riassumendo: già io, della mia vita, sto capendo poco, ma se poi ci si mettono gli oroscopi sbagliati e il guazzabuglio del linguaggio per parlare d’amore, sinceramente, non credo che riuscirò a raccapezzarmi. Cara amica-compagna delle elementari, se il tuo intento era quello di farmi venire le lacrime agli occhi, hai fatto centro. Certo, non si tratta di nostalgia dei tempi che furono quanto delle riflessioni sul futuro. Ma questa, a quanto pare, è un’altra storia. Vi terrò aggiornati!
#tuttacolpadimurphy #ecciao