Sabato mattina scorso, sono uscita di buon ora. Il mio primo incontro con un essere umano è avvenuto attraversando il secondo incrocio di strade nel centro storico. Ho distrattamente posato gli occhi su Antonio, il ragazzo della nettezza urbana. Mi guardava disperato. Io non riuscivo ad interpretare il suo sguardo, perché ancora ovattata dal calore di casa e parzialmente distratta dal colare inesorabile del muco sotto la mascherina – possiamo annoverare il “naso che cola sotto la mascherina” nella Top Five dei disagi del 2021, insieme al “naso che prude”, al “paletto di frassino conficcato nell’occhio quando non hai le mani igienizzate”, al “paio di occhiali appannati che ti impediscono una corretta visuale se non usi tergicristalli” e al tragico “effetto orecchie a sventola”.
Mi è bastato fare un altro passo per intuire in quale guaio si era cacciato il povero netturbino. Antonio era alle prese con Cicetta, la signorina non più giovane e un po’ dura di comprendonio che abita alle spalle di casa mia, insieme ai suoi genitori anziani. Cicetta era decisa a disfarsi, costi quel che costi, della sua spazzatura, usufruendo del cassonetto trascinato con diligenza da Antonio. E glielo urlava in dialetto, sprovvista di mascherina e biascicando parole sconclusionate nella dentiera. Ci saranno voluti venti minuti e l’aiuto di una delle sorelle maggiori di Cicetta per spiegarle che no, non poteva buttare l’umido nel cassonetto con l’indifferenziata, ma doveva aspettare il turno del giorno successivo per potersi liberare di quel bustone grondante liquido di scarto e lische di pesce.
All’altro angolo della strada c’era Tonino, balbuziente. In pochi secondi ha chiamato “Antò Antò Antò”, tre volte per tre, per sapere – vado ad interpretazione – se lui, al passaggio di Antonio, poteva buttare nel cassonetto i rami secchi appena tagliati dal giardinetto del quale si occupa tutti i giorni. Ecco, caro Antonio, le prossime volte che penserò di aver cominciato male la giornata mi ricorderò dello sguardo che mi hai lanciato sabato mattina. Nonostante la mascherina, ho percepito quel sospiro di disperazione mista a completa rassegnazione. Coraggio Antonio, sei tutti noi!
Però, ho pensato bene di non immischiarmi e di proseguire il mio giro di commissioni di vario genere. Ad un’altra svolta del centro storico, le mie narici si sono improvvisamente galvanizzate, percependolo con infallibile precisione. Era lui, inconfondibile! Mi sono guardata attorno: nessuno in giro. Ho scostato la mascherina dal naso e aspirato profondamente l’aria del vicolo. Sì, era proprio lui: profumo di melanzana fritta! Ho alzato gli occhi ai balconi aperti e riso da sola sotto la mascherina (uno dei pochi aspetti positivi del 2021 è che se devi bestemmiare o borbottare, puoi farlo indisturbato, purché tu lo faccia sottovoce nella mascherina). Perché possiamo pure essere in zona rossa, possiamo rimanere bloccati a casa dalle restrizioni di tutti i tipi – discutibili o meno – ma il sabato mattina, friggere la melanzana nell’olio bollente per poi preparare la parmigiana della domenica è d’obbligo. Potrà pure cascare il mondo, potrà citofonare Draghi in persona per verificare il nostro stato di tumulazione in casa, potranno girare i Carabinieri con cavalli al galoppo che sputano fuoco, ma il sabato mattina si frigge! Un po’ la stessa regola della pizza di sabato sera. Guai a toglierci il piacere di ordinare o preparare con le nostre mani la pizza di sabato sera! Ehi, ragazzi, guai!
Dico sì che va bene tutto, ma sulla melanzana fritta non si scherza ! Si tratta di un fatto di appartenenza territoriale, un fatto di sangue. La melanzana è il simbolo della domenica e nessuno potrà mai estirparla! La melanzana fritta è vita! Evviva la melanzana fritta!
#tuttacolpadimurphy #ecciao
Molto simpatico il tuo blog!
Grazie mille! 🙂 Provo a far spuntare un sorriso, che di sti tempi non è poco! 🙂
E non è poco no!
Si fa quel che si può ! 🙂