La scarcella, il sacrificio pasquale e la pecorella in pasta da zucchero

Ecco qua, finalmente hanno liberato i capretti. E anche gli agnellini che l’hanno scampata possono tirare un sospiro di sollievo: per questa volta non è ancora giunta l’ora del cristiano sacrificio. O almeno così sembra.

Tra le feste comandate – da chi poi?! chi ha deciso quanti giorni di ferie ci saremmo beccati e quando ne avremmo goduto?! – quella di Pasqua è forse la più sanguinolenta. O almeno così mi è sembrato di capire negli ultimi anni. Da piccoli non so se ce ne rendevamo bene conto, dal momento che si viveva in un mondo incantato dove tutto sembrava meravigliosamente possibile. Ma in quest’ultimo periodo, ho potuto veramente constatare quanto cruda sia la Pasqua. Perché va bene il Natale: tutti fanno finta di sentirsi più buoni, tutti cercano di stare sereni e in pace, fate bene fratelli. A Pasqua invece? Ragazzi, io non so cosa succeda, ma a Pasqua si scatena l’inferno. Un po’ perché lo vuole il diktat ecclesiastico, un po’ per credenza popolare. C’è chi corre dietro alla processione, chi deve assistere alla via crucis a tutti i costi. Chi si flagella di qua, chi si crocifigge di là, chi cammina scalzo per tutto il paese. Badate bene, la mia non è una critica, solo una constatazione di quanto fervore ci sia dietro queste giornate particolari. Per non parlare di tutte le tradizioni dei misteri pasquali e delle madonne varie che devono uscire dalle chiese, incontrarsi in un determinato posto insieme a quel tal santo o quel talaltro. Parliamo di sangue, dolore, pietà, uomini incappucciati e donne di nero velate, e di quelli che portano con sommo rispetto e devozione le sacre statue sulle spalle.

E poi non si mangia, e se si mangia deve essere pesce e non carne. Che uno pensa “menomale che nei giorni prima, per rispettare la quaresima, si mangia solo pesce”. Ma chi l’ha detta sta cosa?! Si mangia pesce, sì, per non mangiare la carne. Ma attenzione, amici e amiche, nessuno ha parlato mai di pranzi leggeri, quello è un altro discorso. Certo, perché almeno qui da noi, se deve essere pesce, si deve friggere. La fritturina di paranza per il venerdì santo è un intramontabile toccasana che non può mancare a tavola. Come anche il baccalà, pietra miliare della nostra cucina. Ma poi, vedete mia mamma ad esempio, che aspetta queste giornate per preparare un quintale e mezzo di spaghetti alla chitarra fatti a mano e sentirsi giustificata dalla tradizione – perché altrimenti siamo sempre tutti a dieta. Sì, avete letto bene: un quintale e mezzo. Sì, ci mette i frutti di mare anche. Immaginate ora se a mia mamma togliessimo questo gusto. La Pasqua non sarebbe più Pasqua. E lei entrerebbe in una paranoia di quelle che non si vedono tutti i giorni. E non ci dimentichiamo dei dolci tradizionali: pastiere, torte pasquali, scarcelle (dolce tipico della Puglia). Poi le uova, la pecorella. Insomma, il rito di Pasqua è quasi più impegnativo del Natale, sia dal punto di vista sacrale che da quello culinario.

Proprio per questo motivo – ehi, sono sicura sia capitato anche voi! – di solito la sequenza si sviluppa in questo modo: letto-tavola-divano-tavola-letto. La sera dei sepolcri, dopo aver fatto una fila di un’ora davanti all’ingresso del panificio da cui, per tradizione, bisogna prendere un pezzo di focaccia – suddetta attività gestisce il suo fatturato annuale contando ciecamente su quella singola giornata e i suoi incassi da record – i più si sono seduti a tavola e si sono alzati solo la sera del lunedì. A fatica. Certo, signori, a fatica. Perché dopo un weekend lungo di bagordi, non puoi alzarti da tavola leggero e pimpante. Perché la nonna si offende se non mangi la torta pasqualina, figuriamoci se non assaggi la pastiera che ha fatto con le sue sapienti manine. E la colomba?! Che fai non te lo mangi un pezzo?! Sì vabbè, si sa che assomiglia al panettone, però è tradizione! E che fai, vuoi far dispiacere alla pecorella di pasta di mandorle?! Non le vuoi tagliare la testa e staccare le zampe?! Devi, anche se si tratta di una tradizione siciliana e non solo prettamente pugliese! Non è che si può aspettare la prossima resurrezione. Ormai i sacrificio va fatto! In tutti i sensi.

Quest’anno, il giorno di Pasqua, ho distintamente sentito mio padre – un settantenne sempre in movimento anche quando è fermo – chiamare a se mia nipote di quattro anni che era impegnata a giocare per i fatti suoi per dirle “Sara, vieni a vedere come stacchiamo la testa alla pecorella per mangiarla”. Un po’ perché voleva far assistere la nipote alla tanto attesa vivisezione dell’animale in zucchero, un po’ perché non vedeva l’ora di dividere il dolce di cui da lì a poco avrebbe fatto un sol boccone. La Pasqua, ve l’ho detto, è truce. Chiedete alla pecorella!

#tuttacolpadimurphy #ecciao

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13 pensieri riguardo “La scarcella, il sacrificio pasquale e la pecorella in pasta da zucchero

  1. A me non piacciono le “feste comandate” perché alla fine della giornata mi trovo sempre esausto e con il mal di testa.
    Alcuni anni fa iniziai a fare il “bastian contrario”, iniziando e eludere pranzi/cene familiari, che per noi sono una tradizione intoccabile.

    Chiariamo: io AMO la mia “big family”, che include anche zii e cugini. Perché siamo un tutt’uno. Ma non posso, la sera, essere KO. Perché a Pasqua e Natale devo star male?
    Qualcuno lo ha capito, qualcuno no. Amen.

    Ora partecipo, ma scegliendo quando (o pranzo o cena, non entrambi come fanno tutti gli altri) e quanto (in termini di ore).

    1. Ci sta! Tutti insieme appassionatamente non è sempre la soluzione giusta. Anche perché si esce fuori da queste maratone culinarie più stanchi di come ci si è entrati! E non solo per una questione di cibo. E poi a prescindere io detesto passare le ore seduta a tavola! 🐷😂

  2. Non amo le feste comandate neppure io: è solo stress. Ed anche io scelgo come diceva Kikka.
    Però, sicura che la Pasqua è peggio del Natale? Le feste natalizie sono più lunghe… Lo stress è triplicato. Poi, lo dice una che è pugliese come te

    1. Ma la Pasqua è “peggio” per una questione proprio di psicosi che si crea nelle persone che devono seguire i riti liturgici per filo e per segno. È più per quello. Poi a livello di impegno fisico e culinario, sicuramente il Natale è più intenso! 😅

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